La paura del progresso tecnologico

La paura del progresso tecnologico

Siamo alle porte di una nuova e incredibile rivoluzione dovuta alla convergenza di tecnologie – intelligenza artificiale, robotica, blockchain, quantum computing solo per citarne alcune – e ad una forte accelerazione nel loro sviluppo.

Nella nostra società questo fenomeno è causa da un lato di grande entusiasmo e aspettativa e da un altro, in maniera decisamente più marcata, di generalizzata paura, diffidenza e sospetto, stati d’animo che vanno dal semplice “tecno-pessimismo” fino ad arrivare alla “tecno-fobia“.

L’affermazione di Elon Musk “L’intelligenza artificiale è una grande minaccia per l’umanità” pronunciata al summit globale sull’IA lo scorso novembre in Gran Bretagna, al di là che non si tratti di una posizione disinteressata e sincera a causa dei suoi personali attriti con OpenAI, ben sintetizza questo duplice sentimento.

Situazioni simili si sono ripetute più volte nella storia dell’uomo, per cui ripercorrere il passato è un utile esercizio per mettere meglio a fuoco il presente e il futuro, alla ricerca di spunti interessanti contro la profonda preoccupazione legata ai cambiamenti che stiamo vivendo.

La storia si ripete… per insegnarci qualcosa

Senza andare troppo indietro nel tempo, quando ad esempio Platone demonizzava la scrittura in favore della tradizione orale temendo che la memoria e la comprensione profonda dei fenomeni sarebbero state compromesse, ci sono innumerevoli esempi di innovazioni radicali che oggi fanno parte del nostro quotidiano.

La scrittura è disumana, poichè finge di ricreare al di fuori della mente ciò che in realtà può esistere solo al suo interno. La scrittura distrugge la memoria: chi se ne serve cesserà di ricordare e dovrà contare su risorse esterne quando mancheranno quelle interiori. La scrittura indebolisce la mente.
Platone nel Fedro (274-7)

La stampa dei sobillatori

Nel XV secolo, l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg costituì un enorme salto in avanti rispetto ai precedenti metodi di copia manuale, consentendo la stampa di libri più velocemente e a costi inferiori e rendendo l’accesso alla conoscenza più ampio e democratico.

Ma allo stesso tempo sollevò forti timori tra i religiosi e i governanti, che temevano la diffusione di idee eretiche e la messa in discussione dell’ordine costituito, come si dice ad esempio della perduta “Poetica” di Aristotele nel romanzo capolavoro di Umberto Eco, “Il nome della rosa”.

Consentendo inoltre la produzione di libri su larga scala, questa innovazione ha posto le basi per la futura nascita del settore dell’editoria, grazie anche all’effetto per cui l’accessibilità crea maggior domanda, come è successo a Spotify con lo streaming nel settore musicale (Netflix ne ha fatto una mini-serie).

Il demone dell’elettricità

Nel XIX secolo si diffuse quell’invenzione che forse più di tutte ha portato con sè effetti rivoluzionari per la società, l’economia e la scienza: l’elettricità, assieme alle sue pressochè infinite applicazioni. Ma la reazione iniziale delle persone è stata estremamente negativa, tanto da creare movimenti spontanei contro l’introduzione nelle case e nelle città della corrente elettrica, definita il “demone sfrenato”.

Le prime reti di distribuzione non erano affidabili e sicure come quelle attuali ed erano frequentemente soggette a interruzioni e malfunzionamenti, che provocavano folgorazioni e incendi, trasformando così l’elettricità in una forza misteriosa e minacciosa nell’immaginario collettivo.

Benjamin Harrison, primo presidente degli Stati Uniti ad avere l’energia elettrica alla Casa Bianca, chiedeva ai suoi collaboratori di premere al posto suo l’interruttore della luce per paura delle scosse!

“Un Demone sfrenato” – Artista sconosciuto. Judge, vol.17, n.419 (26 ottobre 1889, New York)

Meno consistenti e più irrazionali erano invece altre critiche che venivano mosse, vale a dire il rischio che donne e bambini indifesi nelle proprie case potessero essere esposti ai malintenzionati, come si scriveva su alcuni quotidiani americani:

If you electrify homes, you will make women and children vulnerable. Predators will be able to tell if they are home because the light will be on, and you will be able to see them. So electricity is going to make women vulnerable. Oh and children will be visible too and it will be predators, who seem to be lurking everywhere, who will attack“.

Inutile rimarcare come oggi l’elettricità sia tanto invisibile quanto fondamentale nelle nostre vite! E ora sta tentando di conquistare uno dei rari settori in cui fino ad oggi ha avuto un ruolo solo marginale, quello della mobilità.

What makes our first felicity,But this pure electricity,Divested of all fiction:Motion makes heat, and heat makes love,Creatures below, and things above,Are all produc’d by friction.
L. Lovejoy, “An elegy on the lamented death of the electrical eel, or gymnotus electricus”, 1777.

Il telefono e la radio a discapito delle relazioni umane

Questi due apparecchi con la loro diffusione hanno radicalmente cambiato i modelli di comunicazione e interazione sociale della loro epoca, riducendo le distanze tra persone in qualsiasi parte del mondo.

Anche a loro è toccato superare le diffidende iniziali. Al telefono si imputava la possibilità che si potessero facilmente ascoltare le comunicazioni altrui e ledere la privacy, che esponesse le persone a potenziali raggiri a distanza e che la scarsa igiene delle cabine pubbliche mettesse a rischio la salute pubblica.

La radio era vista come uno strumento per diffondere valori e costumi contrari a quelli tradizionali e per condizionare negativamente le menti e i comportamenti delle persone, per non parlare della ipotizzata diffusione nell’etere di onde elettromagnetiche capaci di modificare il clima.

Entrambi erano accusati infine di creare una barriera alla naturale interazione diretta tra le persone e quindi indurle all’isolamento, intaccando le relazioni sociali.

Se pensiamo quanto siano più potenti e diffusi gli smartphone e la tv oggi, dovremmo attenderci effetti devastanti.

Automobili, treni, trattori e biciclette minacciano l’incolumità fisica

Non sono stati risparmiati dallo scetticismo e dalla fobia collettiva nemmeno queste invenzioni a cui adesso siamo tanto affezionati.

Negli anni ’20 del secolo scorso, in città le auto seminavano il panico tra pedoni e animali, detronizzati dal loro predominio su quelle strade prima considerate luogo sicuro. Lo sdegno per l’impennata degli incidenti – spesso mortali – fu tale da suscitare vere e proprie proteste organizzate contro le industrie automobilistiche, le quali dovettero ricorrere ad intense attività di lobbying e studiare apposite campagne di marketing per rispondere ad una situazione che stava sfuggendo di mano. Ad esempio, diffusero la tesi del “jaywalking“, cioè che la distrazione dei passanti fosse la causa più frequente degli incidenti in strada.

National Safety Council

I treni, seppur molto più prevedibili delle auto nei loro movimenti, si temeva che provocassero sul corpo delle donne – a causa della velocità raggiunta durante il viaggio – conseguenze fisiche degne dei migliori B movie splatter:

There was some wonderful stuff about railway trains in the U.S., that women’s bodies were not designed to go at 50 miles an hour. Our uteruses would fly out of our bodies as they were accelerated to that speed.

Delle biciclette si diceva che potessero attentare alla morale delle ragazze (serve commentare?) mentre si temeva che l’invenzione dei trattori avrebbero tolto il lavoro a milioni di agricoltori, cosa che in realtà non è avvenuta se non in maniera molto lenta e contenuta in quanto gli agricoltori si sono ridotti di numero molto prima che i trattori effettivamente si diffondessero in numero significativo.

I rischi del Personal Computer

Inizialmente confinati nel mondo della fantascienza e quindi percepiti come qualcosa di distante e non reale, i computer si sono presto materializzati portando radicali cambiamenti nella nostra società, soprattutto quando sono diventati “personal“, oggetti di uso quotidiano posizionati nello spazio limitato di una scrivania.

Se già la diffusione delle calcolatrici aveva causato movimenti di protesta tra gli insegnanti per ragioni molto simili a quelle espresse da Platone, figuratevi quali scenari ha portato l’arrivo di questi cervelli elettronici, in grado di svolgere molte delle attività assegnate agli esseri umani più velocemente e a costi più bassi.

E come dimenticare l’avvicinarsi della mezzanotte del 31 dicembre 1999, quell’attesa con il fiato sospeso per le conseguenze nefaste che il cambio di millennio – il famigerato “millennium bug” – avrebbe potuto portare alle nostre vite a causa del formato della data nei nostri PC con sole due cifre invece che quattro per indicare l’anno?

I robot ci ruberanno il lavoro?

Arrivando quindi ai giorni nostri, molte situazioni descritte sembranno ripetersi ancora, tanto che le frasi che più frequentemente sentiamo contro il progresso tecnologico sono:

  • Le aziende tecnologiche violano la privacy dei consumatori
  • I social media veicolano la disinformazione
  • Le piattaforme online sfruttano i dati degli utenti
  • L’automazione distrugge posti di lavoro
  • L’intelligenza artificiale discrimina

Queste affermazioni contengono sicuramente dei dati di fatto, ma danno una visione parziale del fenomeno. Prendiamo ad esempio il tema dell’automazione e chiediamoci cosa è successo l’ultima volta che si è verificato qualcosa di simile.

Le conseguenze della prima rivoluzione industriale

Nel periodo tra la fine del 1700 e la metà del 1800, la convergenza di energia a vapore e elettrica, meccanizzazione e automazione dei processi produttivi hanno determinato un’esplosione della produttività e dell’efficienza tale da consentire la produzione di beni in quantità mai viste prima, al contempo riducendo la dipendenza dal lavoro manuale: è la nascita dell’industria moderna.

La domanda di lavoro umano si è drasticamente ridotta in quegli ambiti in cui la ripetitività, la larga scala e la forza fisica erano predominanti, generando incertezza nella classi lavoratrici e non pochi effetti collaterali come inquinamento e progressivo abbandono delle campagne.

Al contempo si sono aperte opportunità prima impensabili ed è stato possibile ridefinire interamente il panorama economico e sociale dell’epoca. I grafici che seguono mostrano quali siano stati gli effetti sul lavoro in una visione più ampia, in questo caso riferiti alla sola Gran Bretagna in quanto è stata il cuore del boom industriale.

Non solo è stato possibile creare nuovi posti di lavoro e aumentare il grado di scolarizzazione dei lavoratori, ma si è generato un aumento esponenziale della produttività che ha influenzato positivamente anche le retribuzioni e consentito il progressivo accorciamento della settimana lavorativa fino ai cinque giorni cui siamo abituati oggi.

Non è un caso che proprio in questi ultimi mesi si stia parlando tanto della settimana lavorativa di 4 giorni e che in Parlamento sia in discussione una proposta di legge.

Molte ricerche recenti mostrano come si stia ripetendo l’impatto sul lavoro visto durante le prime rivoluzioni industriali.

La forza lavoro del futuro prossimo

Se per il continente europeo la prima fase dell’era industriale è stata caratterizzata da una sostenuta espansione, oggi ci troviamo in una situazione completamente differente, soprattutto in riferimento all’invecchiamento della popolazione e quindi anche della forza lavoro.

Guardando la proiezione del numero dei lavoratori attivi nei prossimi anni (nella foto sotto), possiamo notare un drastico calo in un trend che non può essere invertito.

Come Claudio Erba, fondatore di Docebo, ha fatto notare recentemente ad un convegno a Roma, il progresso tecnologico sta togliendo il lavoro agli esseri umani o piuttosto ci permetterà di sopperire ad una endemica carenza di forza lavoro?

Techaways

Le paure legate alle tecnologie, soprattutto le tecnologie più recenti e quindi non ancora ad uno stadio di maturità, sono tutt’altro che infondate. Ci sono problemi concreti che vanno tenuti in considerazione, come ad esempio l’ondata di disinformazione senza precedenti resa possibile dall’unione di AI e social media.

Ma questo non deve renderci miopi o cinici nè farci dimenticare che dipende solo da noi e dalle decisioni che prenderemo se le nuove tecnologie verranno utilizzate bene o male. Intervenire per eliminare gli svantaggi nel breve termine (che sono la fonte primaria della “paura tecnologica”) non deve pregiudicare i vantaggi di lungo termine.

Allora cosa possiamo fare concretamente? Ecco alcune considerazioni e idee.

  • La paura è un sentimento umano, è una naturale reazione di fronte all’incertezza del cambiamento e questa consapevolezza è già un primo passo. Ricordiamoci anche che la capacità di adattamento è una delle qualità più spiccate dell’essere umano;
  • I valori e la cultura evolvono più lentamente di quanto faccia la tecnologia, servono tempo e lavoro per creare un equilibrio nuovo e tutti sono chiamati ad essere parte attiva di questo percorso. Quanto più la tecnologia va avanti, tanto più il ruolo dell’essere umano sarà rilevante;
  • La disinformazione e il catastrofismo sono un business, per cui dobbiamo sforzarci di selezionare accuratamente le fonti da cui ci informiamo e, in tempi di forte polarizzazione dell’opinione pubblica, contrastare la tendenza ad assumere posizioni estremizzate, tenendo la mente disponibile ad accogliere punti di vista diversi anche quando non si condividono;
  • Come collettività abbiamo la responsabilità di guidare nell’interesse generale lo sviluppo tecnologico e in questo senso l’intervento dello scorso anno del Garante per la Privacy su ChatGPT, l’emanazione dell’AI Act europeo e la definizione della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026 sono buone notizie, almeno nelle intenzioni;
  • Come aziende abbiamo la responsabilità di investire in formazione per le professionalità più a rischio di obsolescenza, oltre che migliorare per tutti l’alfabetizzazione digitale di base (nelle classifiche del Digital Economy and Society Index l’Italia è cresciuta negli ultimi anni ma di certo non primeggiamo).

Coloro che preferiscono non mettersi in discussione e restare nella propria negatività, più che della tecnologia probabilmente hanno paura di non essere all’altezza di creare un mondo migliore di quello attuale.

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