La maturità dei social: il caso Lush

La maturità dei social: il caso Lush

Lush, una delle più importanti aziende di cosmetici naturali nata nel 1995 in UK, lascia Facebook, Instagram, TikTok e Snapchat. È l’annuncio che rimbalza su Internet il 16 Novembre 2021, in piena preparazione del Black Friday: il gruppo Lush ha abbondato i social il 26 Novembre, meno di un mese fa. 

Questa immagine campeggia sulle bacheche degli account del gruppo, negozi fisici compresi. Parliamo di account con milioni di follower.

Cosa è successo?

Attenzione, non si tratta di una nuova campagna pubblicitaria o la mossa disperata di un’azienda in crisi. L’azione è in utile e negli ultimi due anni ha incrementato le vendite del 32%. Siamo di fronte a una scelta etica che parte dal 2016: Lush partecipa ad “Access Now”, un’organizzazione contro i governi che monitorano e spengono internet.
Nel 2018, partecipa al The Next Web (uno degli eventi più importanti al mondo a tema tecnologia e innovazione) con lo slogan “What the Zuck?” per protestare contro il leak di Facebook, nel quale sono stati rubati i dati di 29 milioni di account.
Torna al The Next Web nel 2019 con un progetto di sicurezza e consapevolezza digitale. In segno di protesta, lo stesso anno, smette temporaneamente di postare sugli account Facebook e Instagram di Lush UK.
Durante il 2020, causa pandemia e relativi lockdown, supporta il Digital Detox Day per la prevenzione delle problematiche da ansia e insicurezza, concentrandosi sui problemi che il periodo può avere sulla salute mentale.

La goccia che fa traboccare il vaso

La goccia che fa traboccare il vaso avviene nel 2021 con i documenti segreti rilasciati da un ex dipendente Facebook. Questi documenti, che hanno preso il nome di Facebook Papers dimostrerebbero, secondo Mark Constantine Obe, il fondatore di Lush, che:

  • Gli algoritmi sono stati spinti per aumentare la conversione delle pubblicità nonostante gli avvertimenti sui pericoli mentali per gli utenti più giovani;
  • La società sapeva da tempo dei problemi della piattaforma e ha deciso di ignorarli.

La sua dichiarazione in merito è eloquente: “Ho passato tutta la mia vita ad evitare di mettere ingredienti nocivi nei miei prodotti. Ora ci sono prove schiaccianti che ci mettono a rischio quando usiamo i social media. Non sono disposto a esporre i miei clienti a questo danno, quindi è il momento di toglierlo dal mix”.

Non il primo caso nella storia dei social

Non è la prima volta che un’azienda decide di abbandonare uno o più social, temporaneamente o in modo definitivo, ma è la prima volta che sia per motivi puramente etici e soprattutto con un business social, anche di vendite, in attivo. In Italia, Unicredit ha lasciato Facebook e Instagram nel 2018 motivando anche lei la scelta etica, in periodo di scandalo Cambridge Analytica. Ad onor del vero, occorre ricordare che molti post di istituti finanziari sono vittime di decine di post offensivi e denigratori, che riportano comportamenti e situazioni spiacevoli, veri o inventati che siano.

Philips Morris, la casa dietro l’industria del tabacco, ha usato la porta girevole: ha tolto la pubblicità dei marchi, ma continua a sponsorizzare dei progetti per un futuro sostenibile come “Mission Winnow”. Un modo per essere presente, ma non vincolato a un marchio con una cattiva reputazione.

Una cosa in comune tra Lush e Unicredit è il ritorno a un contatto diretto tra aziende e cliente. Questo si traduce in una gestione diretta dei dati degli utenti e del punto di contatto: sito web e relativa chat, form, email, newsletter.

Lush nel suo comunicato parla esplicitamente del “non essere schiavi dell’algoritmo”. Ovvero, pensare più ai nostri clienti e meno al click. Da un punto di vista tecnico, se parliamo con un’azienda attraverso un servizio di chat, i dati della chat a chi appartengono? L’azienda che la gestisce, o un attaccante che ruba gli accessi, può in teoria accedere in tempo reale nella conversazione o scaricare lo storico. Se un’azienda viene bannata da un social perde tutti i dati dei propri follower, perdendo tutto l’investimento fatto per averli, e potrebbe non avere modo di ricontattarli.

Qualche riflessione

La maturità dei social sta finalmente portando le aziende a una sana selezione del “luogo” in cui incontrare la propria audience. Se facciamo un confronto con la televisione o la carta stampata, ogni pubblicità è pensata nei contenuti e nella forma per l’audience che deve raggiungere e non può prescindere dal dove questa audience si trovi, e sia recettiva per il messaggio.

Riferimenti